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Nascita del doppiaggio

Nascita del doppiaggio

Con l’avvento del sonoro sorse per le case cinematografiche statunitensi un problema circa l’esportazione all’estero delle pellicole. Era necessario rendere comprensibile i dialoghi in Inglese ai lontani paesi europei, specialmente all’Italia, da anni la miglior cliente.
Nella maggior parte delle nazioni il problema veniva risolto con l’adozione dei sottotitoli, ma non così in paesi come l’Italia. Da noi Il regime fascista, attivo nella preservazione e nell’esaltazione dell’italianità, considerava le influenze linguistiche straniere come una minaccia e ne proibiva ogni uso, parlato o sottotitolato che fosse. Per non parlare di lungometraggi come Ben Hur girato negli anni venti, il quale veniva mal visto per la sua scarsa considerazione della romanità. Si trattò di una severa presa di posizione politico-ideologica che creava non pochi disagi ai produttori americani. Era quindi necessario il compromesso di una soluzione valida per gli autori e allo stesso tempo fruibile per il pubblico italiano, il quale rischiava di non godere dell’innovazione più importante nel cinema dopo la sua invenzione.
Ecco che le scene furono così private del parlato, al quale vennero sostituite le didascalie. In tal modo tuttavia il film perdeva il suo ritmo e il suo valore, con un risultato noioso e esasperante per il pubblico, per non parlare degli analfabeti che a inizio anni trenta in Italia superavano il 20 % della popolazione.
Gli Stati Uniti tentarono perciò uno stratagemma assai rocambolesco. Furono realizzate più versioni dello stesso film secondo il numero delle lingue di destinazione, conservando intatta la scenografia del set cinematografico e alternando i registi e gli attori delle varie nazionalità. La stessa scena veniva girata più volte, restando fedele a sceneggiatura e inquadrature, ma con troup diverse. A volte gli attori di contorno erano gli stessi e venivano doppiati in diretta da voci dietro la cinepresa.
I risultati furono esasperanti. La così detta versione plurima si rivelò inevitabilmente un disastro finanziario, organizzativo e artistico. Oltre tutto le frasi degli attori, suggerite dai cartelli dei gobbi oltre l’obbiettivo, erano mal pronunciate, gli accenti sbagliati e con evidenti inflessioni straniere. Eccezione facevano le interpretazioni italiane degli americani Stan Laurel e Oliver Hardy, la cui parlata li rendeva ancora più comici.
Le lingue utilizzate per coprire quanto più possibile il mercato europeo furono: francese, tedesco, spagnolo e italiano.
Nel 1932 l’ostacolo venne finalmente aggirato con successo dalla statunitense 20th Century Fox, la quale sperimentò il nuovo sistema del doppiaggio. I dirigenti avevano intuito che questo nuovo metodo, appena messo a punto dall’austriaco Karol Jacob, garantiva un notevole risparmio di tempo e denaro e una qualità superiore del prodotto finito.
Nacque così a Hollywood il primo stabilimento di doppiaggio, dove attori italiani emigrati o in turné teatrale venivano ingaggiati per dare voce agli interpreti originali.
L’avvento del sonoro costituì un punto di rottura per diversi artisti dell’ormai superato cinema muto. Solo gli attori capaci di entrare in sintonia col microfono poterono sperare di continuare ad apparire nelle sale di proiezione.
Alcuni interpreti della vecchia guardia videro con ciò la fine della propria carriera, come nel caso della dive Lina Lamont (Jean Hacen). Quando gli spettatori ne scoprirono la tutt’altro che melodica voce la inondarono di fischi di delusione.
Le grandi case cinematografiche americane si misero subito in linea col il nuovo metodo rivoluzionario del doppiaggio.
Sotto la direzione di Carlo Boeuf si doppiarono in lingua italiana i primi film importanti, come: “carcere” e “trader horn” con le voci dei coniugi Augusto e Rosina Galli, quest’ultima attrice molto nota in America. Altre furono Argentina Ferraù, la cantante Milly e Francesca Braggiotti (prima voce di Greta Garbo).
La Fox non fu da meno, grazie al lavoro di Louis Loeffler e Alberto Valentino, fratello del celeberrimo Rodolfo. Al tempo il doppiatore principale della casa era Franco Corsaro, il protagonista nella versione italiana de “il grande sentiero”. In America il ruolo fu affidato al giovanissimo John Waymi, spesso affiancato da Luisa Caselotti, anche lei nel cast del western diretto da Raoul Walsh.
La Paramount decise invece di doppiare i propri film a Join Ville in Francia sotto la direzione esperta di Pier Luigi Melani. Fu lì che si approntarono le pregevoli edizioni di “il dottor Jkyll” di Mamoulian e “Il segno della croce” di De Mille.
Tuttavia lo stesso Augusto Galli riferì che la maggior parte degli attori presi sul posto, benché bravi, avevano un accento regionale di origine o una leggera inflessione americana, difetto principale dei doppiaggi effettuati nel nuovo continente. Le case produttrici decisero per tanto di lasciare che i doppiaggi venissero eseguiti nei paesi delle lingue interessate.
Nel 1932, dopo i primi esperimenti americani, si mosse anche l’industria cinematografica italiana, grazie alla felice intuizione del Commendator Fritz Curioni, il quale decise di copiare il comico accento italo/americano di Stan Laurel e Oliver Hardy, che si doppiavano personalmente con risultati esilaranti nelle varie lingue straniere per le versioni destinate all’estero con attori italiani.
Nell’arco di pochi mesi nacquero a Roma la Foto Vox e l’Itala Acustica, che avrebbero gestito il settore per decenni, ma specialmente lo studio aperto dalla casa Cines Pittaluca di Emilio Cecchi, con direttore il regista Mario Almirante. Alla Fono Roma si appoggiarono la 20th Century Fox”, la Warner Bros e la Paramount, prima che la Metro Goldwyn Mayer installasse direttamente un suo proprio stabilimento nella nostra capitale, precisamente in Via Marina Cristina 5.
La cura e la passione produssero risultati lusinghieri, tanto da convincere perfino la critica, da principio assai scettica e sarcastica, la quale cominciò ad elogiare i capostipiti della nuova professione con citazioni tal ora entusiastiche.
In tal modo gli spettatori italiani poterono gustare alcuni capolavori destinati a restare nella storia del cinema, tra i quali: “a me la libertà” di René Clair, “ragazze in uniforme” di Leonine Saga e “la tragedia della miniera a Atlantide” diG.W. Papst.
Le voci sin da allora più frequenti riconoscibili furono: Andreina Pagnani, Umberto Melnati, Mario Ferrari, Tina Lattanti, Olinto Cristina, Ugo Cesari, Augusto Marcacci, Camillo Pilotto, e Gego zambuto, tutti interpreti con forte esperienza teatrale e cinematografica. Alcuni di questi pionieri continuarono a lungo tale attività, ponendo le basi di una scuola ben presto invidiata da tutto il mondo. Secondo l’assioma, per fortuna ben consolidato, per essere doppiatori bisogna innanzitutto essere dei buoni attori.
Il doppiaggio effettuato in patria si rivelò decisamente superiore a quello realizzato oltre l’Atlantico, soprattutto grazie al contributo di grandi attori.
Iniziò il così detto periodo d’oro del doppiaggio italiano.
Il nuovo fenomeno era regolato da severe norme di legge e poteva essere eseguito solo in patria da personale artistico e tecnico nazionale. Il doppiaggio fatto in casa agevolava la censura del regime fascista, libero così di purgare il parlato originale di tutte le espressioni non gradite.
Erano anni tecnologicamente imperfetti, tuttavia, come ebbe a descrivere Franco Schirato (futuro direttore artistico della Foto Vox), si lavorava al buio, senza alcuna guida sonora. Occorrevano buona memoria, riflessi pronti e disposizione al ritmo.
Il tempo era limitato e i dialoghi approssimativi dovevano spesso essere adattati in sede di lavoro con pazienza certosina, senza contare i numerosi inconvenienti tecnici.
L’a strada ormai era stata spianata. Dopo gli inevitabili tentennamenti e le comprensibili perplessità, il doppiaggio era già entrato a far parte della storia e della cultura del cinema italiano.
Augusto Galli fu chiamato alla Metro Goldwyn Mayer americana già nel 1935 e il suo ruolo a Roma venne ricoperto da Franco Schirato. A quest’ultimo si devono fra gli altri gli splendidi doppiaggi andati purtroppo perduti di “Pranzo alle otto”, “Sui mari della Cina”, “Lla buona terra”, “La tragedia del Bounty” e “Giulietta e Romeo”. Molti di questi importanti film furono ridoppiati nel dopo guerra o in anni più recenti.
La Paramount si affidò a Luigi Savini, la Warner Bros a Nicola Fausto Neroni, la 20th Century Fox a Vittorio Malpassuti.
Mario Ammirante, noto attore, lavorò invece per l’Enic. Furono fortunatamente tutti riconfermati nel dopoguerra.
A loro soprattutto si devono le prime attribuzioni di voci italiane, consegnate ad interpreti destinati tuttavia in questo nuovo e singolare lavoro a rimanere nell’ombra, non avendo mai pensato i distributori italiani, se non negli ultimi tempi, di aggiungere nei titoli di testa e di coda i nomi dei doppiatori che tanto stavano contribuendo a diffondere il cinema nelle sale di casa nostra.
Negli anni trenta furono quindi molto attivi: Sandro Ruffini, Andreina Pagnani, Marcella Rovena, Miranda Garavaglia Bonansea, Augusto Marcacci, Emilio Cicoli, Rina Morelli, Tina Lattanti, Nella Maria Bonora, Gaetano Verna, Giulio Panicali, Gero Zambuto, Olinto Cristina, Romolo Costa, Lauro Gazzolo, Carlo Romano, Lidia Simoneschi, Lola Braccini, Rosetta Calavetta, Di micio Sofia, Giovanna Scotto, Mario Siletti, Lia Orlandini, Amilcare Pettinelli, Mario Bisesti, Gino Cervi, per citarne alcuni particolarmente prestigiosi.
Tali meravigliose voci divennero in breve familiari e quasi insostituibili per lo spettatore italiano, come accade anche oggi. Basti pensare a identificazioni come quella di Oreste Lionello con Woody Allen o di Ferruccio Amendola con Dustin Hoffman, Stallone e De Niro.
I doppiaggi venivano effettuati nel’arco di sette o dodici giorni per film. Approcci e analisi appassionate apparvero su riviste specializzate come “bianco e nero” già nel Gennaio 1937. I censori non perdevano occasione di parlare degli esiti del doppiaggio, modalità che sarà colpevolmente abbandonata nel dopoguerra, nonostante i risultati spesso notevoli delle versioni italiane, tal volta rispetto agli stessi originali.
La pratica del doppiaggio andava sviluppandosi nel senso della naturalezza, ciò che all’epoca e anche oggi non sempre è così nella più enfatica recitazione teatrale.
Tra il 1935 e il 1938 il doppiato raggiunse una maturità artistica enorme. Nel 1937 alla Fono Roma fu eseguito per conto di una ditta tedesca il doppiaggio di un film inglese. Fu uno straordinario caso d’eccezione che rende omaggio all’Italia, dato che le disposizioni legislative imponevano alle case importatrici di eseguire in Germania le versioni tedesche dei film stranieri.

(brano realizzato in collaborazione con il Prof. Gerardo Di Cola)

Articolo estratto dal sito www.doppiatoriitaliani.com di Davide Pigliacelli

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